Sono tornato da ormai due settimane e naturalmente rispondo a mille domande sul lungo viaggio. Una delle più frequenti riguarda la traversata in mare sulla nave container. È sempre l’aspetto che più stupisce, suscita curiosità e sorpresa. Ho viaggiato in dicembre da Trieste a Port Klang in Malesia sulla Balzac e a luglio da Charleston, South Carolina, ad Anversa sulla Buxcoast. Due navi gemelle, praticamente identiche.
Il ritorno è stato diverso dall’andata perché mancava la sorpresa, non c’era timore, sapevo dove andare, che cosa fare e cosa non fare. Per esempio: (non) tenermi alla cima della scaletta che ti porta dal molo all’upper deck, piena di morcia e dunque da non toccare. All’andata mi ci ero aggrappato e poi avevo dovuto stringere la mano all’ufficiale con la mano tutta unta. Mi sono anche preso la soddisfazione di correggere l’ufficiale che mi voleva mandare nella purser’s cabin, “no,” gli ho detto, “sono nella supercargo”. Luoghi misteriosi in dicembre, ma ormai familiari in luglio.
È stato come tornare a casa. Mi sono sistemato in cabina, ho pranzato, mi sono sdraiato sul mio lettino e sono immediatamente piombato in un lungo sonno: le fatiche del viaggio erano finite. Da quel momento in poi solo relax. Questa volta però c’erano due altri passeggeri, una signora di 78 anni (già al diciannovesimo viaggio in nave da carico in 40 anni) e un giovane tedesco con cui ho passato ore a giocare a pingpong.
Dico questo per cercare di rendere l’idea della bellezza di un viaggio sulla nave container. Relax, spensieratezza, pace.
E poi, protagonista, il mare. Sempre uguale e sempre diverso. Il cielo, terso o percorso da nuvole. Il sole che si alza e tramonta. Seguito di notte dalla luna. Ambedue si specchiano sulla superficie dell’oceano. Talora si nascondono dietro le nuvole, illuminano la distesa di acqua o la fanno piombare nell’ombra. Il paesaggio è sempre uguale e sempre diverso.
Se la nave stesse ferma la noia si farebbe sentire ben presto. Ma la nave si muove, piano ma si muove. Vibra e parla col suo rumore costante, ma non uguale. Dialoga con il mare, le correnti, le onde. E il paesaggio scorre, scorrono le ore ed i giorni e scorre la vita. Ovunque sei, la senti, sai che si muove, sai che tu ti muovi con lei. E ondeggia. Impercettibilmente ma ondeggia. Rollio e beccheggio. La pallina da pingpong quando cade per terra rotola ora in una direzione ora nell’altra, e si nasconde.
Le dimensioni inimmaginabili della nave, della catena dell’ancora, delle bitte, del motore, la distesa di container davanti e dietro di te, tutto ciò dà una sensazione di tranquilla potenza, di solidità. Un immenso pezzo di ferro che galleggia.
E quando si parte o si arriva la terraferma si mostra da una prospettiva che mai e poi mai si potrebbe avere in altro modo: né da terra né dall’aria, naturalmente, ma neanche da una piccola barca, un motoscafo o un traghetto. A quaranta metri di altezza il paesaggio di terra è più ampio e si svela in tanti particolari insoliti. Un’emozione scorgere in lontananza il faro di Bishop Rock! Sono sceso ad Anversa in Belgio e per arrivarci la Buxcoast ha risalito la Schelda, ha imboccato le chiuse e verso mezzanotte ha attraccato a “marcia in dietro” tra due altre navi da carico.
Cerco con alcune foto di dare una impressione della bellezza del viaggio su una nave da carico. Ma manca il movimento, manca la vibrazione, manca il vento. Immaginateli, o meglio ancora, provateli facendo un viaggio anche voi sulla Buxcoast o sulla Balzac.
Come al solito, bellissime le foto e le riflessioni! Ci mancava proprio il tuo arrivo, anche nel blog… 🙂
Sí, bello, ma chi dispone di 23 giorni da destinare al viaggio di andata? O sei in pensione o sei Marco Dalbosco! Comunque il tuo viaggio ha arricchito tutti noi, grazie.